di Francesco Miscioscia – Nell’articolo “Latina rialzati! Impara a scegliere da chi farti governare e ricomincia dalla società civile” incitavo i cittadini di Latina a diffidare di questa classe politica, perché incapace di governare Latina.
Devo dire che ho avuto un grande riscontro da parte dei nostri lettori che, evidentemente, si sono ritrovati nelle considerazioni che avevo posto. Ma non solo cittadini, persino alcuni esponenti politici hanno cominciato a porsi delle domande cercando di capire in che cosa potrebbero migliorare l’azione di attività e comunicazione politica. Devo riconoscere che non tutta la classe politica di Latina deve essere “rottamata”, qualcuno ha lavorato ma ha forse comunicato male le cose che ha fatto. Quindi per gli elettori è inevitabile che risultino tutti uguali.
Ci siamo lasciati sul senso della “vicinanza” che, a parer mio, è il primo elemento caratteristico della buona politica e del governare bene. Praticare la vicinanza significa scegliere, accompagnare i propri cittadini verso la via d’uscita dalla crisi. Accompagnare senza avere la presunzione, o l’illusione, di poter dettare da soli la via. Essere accompagnatori significa affrontare il disagio, le paure e le preoccupazioni dei cittadini, impegnandosi con loro per trovare una via d’uscita positiva per tutti.
Vicinanza significa scegliere l’ascolto come metodo amministrativo. Significa scegliere la partecipazione come strumento di governo della comunità. Significa scegliere la trasparenza e la legalità come stile di lavoro e di comunicazione. Illegalità, corruzione e criminalità organizzata devono essere contrastati con determinazione e sistematicità. Vicinanza significa impegno a costruire una politica nuova, diffondere la cultura e l’educazione alla responsabilità, capacità di riavvicinare i cittadini alla politica, alla vita della nostra città con l’obiettivo di trasformare e migliorare la propria comunità, piuttosto che limitarsi ad amministrarla o ad amministrarla male.
La situazione politica di Latina presenta da tempo due aspetti fra loro oramai in insanabile dissidio:
- – una situazione di sostanziale immobilismo e di asfissia morale da parte di chi la esercita;
- – una crescente sete di cambiamenti, accompagnata da buone pratiche e da volti nuovi.
Fortunatamente ancora molti cittadini, che queste cose hanno iniziato a fiutarle prima e a ripudiarle poi, hanno capito la menzogna legata all’assurda pretesa dei politici di avere la ricetta della soluzione. In effetti non l’hanno mai avuta, non l’hanno tuttora, ma soprattutto è arrivato il momento di far capire loro che la pazienza è finita. Dal non-voto, unico strumento di protesta non-violento cui il 45/53% degli italiani si vede costretto a ricorrere, occorre spostarsi sul terreno attivo, guardando con attenzione ai tentativi da parte dei cittadini di mettersi insieme. Magari questo potrebbe essere un modo per cambiare Latina e per costruire un’alternativa diversa e con delle idee dal valore inestimabile.
Ecco un’altra buona ragione per abbandonare l’idea che la politica si faccia principalmente nelle stanze dei palazzi del potere o negli uffici delle burocrazie di partito, che il buon politico sia quello esperto di “scenari”, alchimie, tattiche e strategie. Tutto questo è importante, ma non basta. Siccome non basta, abbiamo il dovere di chiederci: dove siamo quando nel nostro Paese si avvelenano i rapporti tra le persone, durante le tragedie dell’immigrazione come quelle delle famiglie dei senza-lavoro o dei drammi del lavoro senza sicurezza; durante le proteste per una scuola che affonda oppure quando la forza scatenata della natura colpisce? Nei nostri uffici o tra chi ha bisogno di solidarietà?
Ecco perché è necessario stringere i rapporti tra partiti e società, abbandonare l’idea e le pratiche che fanno pensare che gli uni possano fare a meno dell’altra, e viceversa.
E noi vorremmo che tutto ciò non ingeneri inimicizia sociale? Sarebbe ingenuo sperarlo. E vorremmo che chi sta dall’altra parte della società, quella che dal basso guarda a quella che sta in alto, non nutra diffidenza, per non dire di più, verso una democrazia che accetta questa loro condizione? Una condizione che non giustifica certo, ma spiega il carattere violento dei rapporti anche quotidiani tra le persone, di chi si sente più forte sul più debole e del debole come reazione al forte, nelle infinite situazioni in cui quel divario può essere fatto valere, nelle famiglie, nella strada, nelle scuole, nelle fabbriche, nei rapporti tra uomo e donna, tra “normale” e “diverso”, eccetera.
Di quest’atteggiamento di separatezza e, in definitiva, di inimicizia, testimonianza eloquente è l’atteggiamento del mondo politico nei confronti della cosiddetta “società civile”, un’espressione e un concetto che non ha mai goduto di buona fama.
La società civile esiste, ma è un’altra cosa: è l’insieme delle persone, delle associazioni, dei gruppi di coloro che dedicano o sarebbero disposti – se solo ne intravedessero l’utilità e la possibilità, se i canali di partecipazione politica non fossero secchi o inospitali – a dedicare spontaneamente e gratuitamente passione, competenze e risorse a ciò che chiamiamo il bene comune.
Quante sono le persone, singole e insieme ad altre, che a partire dalle tante e diverse esperienze, in tutti gli ambiti della vita sociale, a iniziare dai più umili, sarebbero disposte a dare qualcosa di sé, non per un proprio utile immediato, ma per opere di più ampio impegno che riguardano la qualità, per l’appunto civile, della società in cui noi, i nostri figli e nipoti si trovano e troveranno a vivere? Da quel che mi par di vedere, tantissime. Quando si parla di politica e della sua crisi, perché l’attenzione non si rivolge a questo potenziale serbatoio di energie? Non per colonizzarle, ma per trarne, rispettandone la libertà, gli impulsi vitali. In fin dei conti, sono questi “servitori civili” quelli che più di altri conoscono i problemi e le difficoltà reali della vita nella nostra città. C’è più sapienza pratica lì che in tanti studi accademici, libri, dossier che spesso si pagano fior di quattrini per rimanere a giacere impilati. Perché c’è così poca attenzione e apertura, anzi spesso disprezzo, verso questo mondo?
La risposta alla domanda formulata sopra è semplice: la scarsa attenzione, se non l’ostilità, dipende dalla difesa estrema da parte della politica che si sentirebbe insidiata da un’apertura alla società civile.