Scatta da questa mattina, in tutti i luoghi di lavoro, l’obbligo di mostrare il green pass per poter lavorare.
Il provvedimento del governo Draghi, che ha causato malumori e proteste soprattutto tra coloro che il vaccino non lo hanno voluto fare e che, quindi, per entrare al lavoro devono sottoporsi a tampone ogni due giorni, non ha subito deroghe o rinvii, tranne quella al 30 ottobre come richiesto dai portuali di Trieste per prendere del tempo e convenire su nuove soluzioni.
Proprio il prezzo dei tamponi resta uno degli argomenti sui quali il governo sta ragionando.
Sul piatto due vie. Da una parte si pensa ad una riduzione del costo (per sottoporsi all’esame, in Italia, ci vogliono dai 15 ai 20 euro a tampone). Dall’altra l’istituzione di un credito di imposta che consenta alle imprese che si fanno carico del costo dei tamponi di detrarne l’onere, assieme alle spese di sanificazione sostenute.
In un incontro con l’esecutivo di ieri mattina, i sindacati hanno insistito sul fatto che il costo degli esami sia a carico delle aziende.
La prospettiva di doversi sottoporre a tampone ogni due giorni, oltre al costo dell’esame, ha intanto convinto in molti a rivedere la propria posizione in merito al vaccino. Rispetto al periodo nel quale non era richiesto il green pass per lavorare, infatti, la richiesta di prime dosi è aumentata del 46%.
Una corsa inevitabile ed anche auspicabile da parte del governo. Si stima, infatti, che i no-vax consumeranno, solo per poter andare a lavorare, qualcosa come un milione di tamponi al giorno in più, rispetto a quelli che si fanno attualmente. Una richiesta mostruosa alla quale il sistema sanitario nazionale e la rete delle farmacie non è in alcun modo in grado di far fronte.