E’ uscita dopo lunghe ore di camera di consiglio, alle 23.30 di ieri sera, la sentenza per l’omicidio della 16enne di Cisterna, Desirée Mariottini, stordita con un mix di farmaci che le sono stati letali, abusata e lasciata morire dopo 14 ore di agonia.
Sul banco degli imputati c’erano Mamadou Gara, Yussef Salia, Brian Minteh e Alinno Chima, accusati a vario titolo di omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di droga ad una minorenne.
Gara e Salia sono stati condannati all’ergastolo, Alinno Chima a 27 anni di reclusione e Brian Minteh a 24 anni e 6 mesi. Il caso è scoppiato quando per Minthe è stata disposta la scarcerazione. Il Riesame infatti aveva deciso per lui il carcere per l’accusa di violenza sessuale, accusa che per questo imputato è caduta. Quindi, nonostante la condanna in primo grado per l’omicidio l’uomo era libero.
Un tecnicismo giuridico che però rischiava di vedere in libertà uno dei membri del gruppo responsabile – almeno secondo la Corte d’Assise del Tribunale di Roma – della morte della minorenne. La Procura però nella notte ha emesso una nuova misura cautelare, probabilmente per il pericolo di fuga, che è stata notificata prima che il ragazzo potesse uscire dall’istituto penitenziario nel quale è rinchiuso.
La madre di Desirée aveva dichiarato ieri sera di non aver avuto giustizia, ma questo nuovo provvedimento ha restituito un minimo di serenità alla famiglia della vittima.
Il Tribunale di Roma ha disposto anche una provvisionale immediatamente esecutiva – un risarcimento – nei confronti della madre e della sorella di Desirée per 200mila euro, di 100mila euro per il padre della 16enne, e di 80mila euro per i nonni.
Teatro del delitto è stato un edificio abbandonato del quartiere San Lorenzo, a Roma, in via dei Lucani. Un posto dove trascorrevano la loro vita spacciatori e tossicodipendenti, persone senza abitazione e disperati. Qui Desirée ha trovato la morte, il 19 ottobre 2018. Era una ragazza fragile ed era caduta nell’incubo della droga. A Cisterna nessuno le forniva la sostanza stupefacente e la ragazza era approdata nella Capitale, raccontando alla mamma e alla nonna che sarebbe andata a dormire da un’amica. Invece ha trovato uomini senza scrupoli, che l’hanno usata e poi abbandonata a stessa, impendendo anche a chi era presente di soccorrerla. “Meglio lei morta che noi in galera” avevano detto quando qualcuno aveva proposto di chiamare l’ambulanza.

La ragazza era vergine. Per appurarlo è stato effettuato un esame particolare che ha permesso anche di rendere chiaro come le cicatrici dei rapporti sessuali che aveva avuto sarebbero recentissime. Le ferite riportate dalla 16enne sono compatibili con uno stupro e sul suo corpo sono state trovate anche “lesioni da presa”, sull’avambraccio e un’unghiata all’interno di una coscia. La minorenne avrebbe quindi opposto resistenza, avrebbe provato a difendersi. Ad incastrare 3 gli imputati, tutti di origine africana, il loro dna trovato sulla vittima e sui suoi indumenti intimi.
La morte di Desy aveva sconvolto un’intera comunità, il processo è stato lungo e straziante e non sono mancate polemiche, come quando uno degli imputati ha denunciato la famiglia della 16enne per omessa vigilanza nei suoi confronti, per poi ritirarla qualche giorno dopo. Ieri la sentenza e due condanne a “fine pena mai”.