Paolo Sorrentino è un Manierista. Non nel senso che oggi il termine ha acquisito, con un velo di negatività. Manierista nel senso originario. Egli è nel cinema quello che furono, in pittura, Andrea Del Sarto, Pontormo, Rosso Fiorentino e i tanti che vennero dopo i grandi maestri del Rinascimento italiano: non potendoli superare sul loro terreno, li studiarono, li conobbero alla perfezione, spostarono l’ambito su cui poggiare la propria pittura, assorbirono i loro insegnamenti e, spesso, onestamente, li citarono. Tutto ciò Paolo Sorrentino lo fa di Federico Fellini. Non soltanto, ma soprattutto di Fellini. Ne La grande bellezza era molto più evidente. Ma in Loro 1 il regista non si distacca da questo modello.
Bisogna dirlo subito: il film non è un film su Silvio Berlusconi. Lo è anche, certo. Ma se si pensa di poterlo leggere come un film su Berlusconi, come Il divo lo era su Giulio Andreotti, si rischia di rimanere in superficie. E non perché la faccia di Toni Servillo che lo interpreta compaia soltanto dopo un’ora. Perché il film è un film sugli Italiani che in Berlusconi hanno trovato uno specchio in cui riflettersi.
Questa prima metà dell’opera completa (Loro 2 uscirà nelle sale il prossimo 10 maggio) si chiude con un Silvio Berlusconi simpatico, che non può non piacere, quando, per riconquistare la moglie che capisce di stare per perdere, ingaggia Fabio Concato a cantarle la canzone sulle cui note si diedero il primo bacio. Chi ha pensato che il film avesse l’intento di criticare Berlusconi ha accusato Sorrentino di essere invece benevolo nei suoi confronti.
Il fatto è che Paolo Sorrentino non ha proprio intenzione di dipingerci un Berlusconi come incarnazione del demonio. Ma allora qual è la sua intenzione?
Si guardino le due metà di questa prima parte del film. La prima metà, quella ambientata nel mondo che ruota attorno a Silvio Berlusconi, quel mondo per il quale egli è semplicemente “Lui”, è descritta dal regista con un ritmo frenetico, scandito da musiche spesso assordanti, piena di strisce di cocaina, di corpi nudi e rapporti sessuali che sembrano discendere dal Satyricon di Petronio riletto da Fellini. È la parte meglio riuscita del film, in cui Sorrentino riesce a descrivere un mondo utilizzando i sensi e non la ragione, di cui riusciamo persino a sentire odori e sapori, sgraziati e stucchevoli nell’avvenenza delle forme esibite.
La seconda metà, quella quasi interamente ambientata nella villa sarda di Berlusconi, ha, di contro, ritmi estremamente lenti: sesso e cocaina scompaiono. Tutto è elegante e garbato, trattato con un’ironia sottile e leggera. Nell’occhio del ciclone tutto è calmo.
Chi sono, dunque, i veri protagonisti del film? Per mostrarceli, Sorrentino si diverte a evocare una sorta di bestiario. Non so se in Loro 2 ne compariranno altri, ma qui compaiono tre animali su cui la macchina da presa del regista si sofferma a lungo: una pecora, un rinoceronte e un ratto.
Il film inizia proprio con il primo piano di una pecora. Senza grande originalità, Paolo Sorrentino identifica in quell’animale i milioni di italiani che per anni si sono lasciati catturare da profluvi d’immagini televisive ben confezionate e hanno progressivamente assunto atteggiamenti, elaborato criteri di giudizio e compiuto scelte muovendosi come una sorta di gregge telecomandato.
Il secondo animale che compare, inaspettato, è un rinoceronte che corre per le vie di Roma, scappato da un circo. L’immagine non può non rimandare all’assurda comparsa del rinoceronte nell’omonimo testo teatrale di Ionesco, quando l’animale veniva utilizzato come inquietante figura che rimandava a possibili evoluzioni totalitarie dai connotati grotteschi come soltanto possono essere i totalitarismi quando ricompaiono dopo la loro prima apparizione dai tratti orrendamente tragici. È l’animale con cui Sorrentino identifica quello che è stato definito il “berlusconismo”.
Infine il ratto, che si aggira indisturbato in una Roma notturna animata dai corpi di ragazze bellissime in una sorta di riedizione de La dolce vita. Con questo terzo animale, il film inquadra quel sottobosco di politicanti e affaristi che ruotano attorno al potere economico e politico del Capo.
Come per gli “individui cosmico-storici” di hegeliana memoria, sarebbe riduttivo giudicare una persona che ha così fortemente caratterizzato un’epoca, esclusivamente da un punto di vista morale. Sarebbe riduttivo e pericoloso, poiché essa apparirebbe, alla fine, semplicemente un capro espiatorio cui addossare tutte le colpe. Queste personalità, sembra dirci il film, attraverso il loro operato, ben più profondamente e tragicamente, catalizzano, danno sfogo e amplificano vizi endemici individuali e collettivi.
Non si deve dimenticare, infine, che Loro 1 non è la prima parte di un film in due episodi. È la prima metà di un film che, per motivi di distribuzione, è stato spezzato a metà e diviso in due. Bisognerà aspettare il resto del film per inquadrare meglio il tutto e capire il senso di figure come il fantomatico personaggio che tutti chiamano “Dio”.
Avrei preferito vedere il film tutto in una volta. Ma forse questa necessità di dividerlo è anch’essa il risultato di una modifica epocale della capacità di fruizione dell’Italiano medio, non più in grado di seguire un film se troppo lungo: uno dei tanti frutti prodotti proprio dall’operazione mediatica descritta dal film.