A Sezze misero una croce grande grande, di ferro come la laica Torre Eiffel e della stessa altezza perché la “montagna” sta a 300 metri come la torre di Parigi. Come quella svetta e “domina” un mondo, quella la Francia che si fa universale nei commerci, questa ricorda l’universalità del pregare.
Peccato che poi, col tempo, quella idea cristiana nel paese degli eretici comunisti fu dimenticata come il latino nei tempi volgari, come l’amare nel tempo della guerra. La croce si accendeva e il “credente” nei giorni della morte del Signore aveva un segno del suo passo, canto, dolore.
Ora non è più così, è ferro incrociato, è segno senza segnali, faro spento per navi che non pensano neanche a navigare, o in questa costa non stanno neanche a guardare. La croce di Sezze è uno scheletro del tirannosauro rex che un tempo dominava monti e piano, ma non per dolore ma per la generosità di far sperare i cuccioli e quelli degli umani sono mammocci. E’ spenta la croce, noi lontani non guardiamo più lo sperare di tornare, ma restiamo ad un ricordo che ad ogni partire dopo tre giorni si può tornare, rinati.
La croce è grande, il passo impossibile per arrivare e la fede di questa rinascita è un poco più sola, come è sola quella costa in cui per destino sono nato, per scelta sono diventato uomo non meglio di alcuno, ma secondo a nessuno. Buon tempo senza luce, potevamo esser grandi siamo nani.