Infermiera picchiata, la retorica della malasanità e la certezza della “malapazienza”

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Rembrandt, Lezione di anatomia del dottor Tulp

Abbiamo scritto migliaia di articoli di “malasanita”, pochi o nessuno di “mala pazienza”. Una volta coloro che si rivolgevano al medico, all’ospedale, si chiamavano pazienti. Avevano la pazienza di aspettare l’aiuto perché c’era sempre, chi non poteva aspettare. Il male non segue i numerini come nella fila come dal fornaio, come le tragedie non si prenotano e la salvezza non è certa perché non è fede ma vita questa vita nostra. Nella imbecille società di oggi i pazienti sono utenti e i sanitari operatori, non c’è il dotto della scienza, ma il curante è meno saggio del curato siamo all’autocura, ogni riferimento agli imbecilli dei non vaccini è voluto. O a miei colleghi che a mezzo tv assicurano vita fino a 120 anni.

A Formia l’ennesimo caso di malapazienza, il “curato” ha stabilito che il “curante” stava facendogli perdere tempo e lui da “utente” aveva la “pretesa” di cancellare il mondo. Lo ha picchiato (era una infermiera) nel luogo in cui pretendeva guarigione ha offeso l’incolumità del corpo del curante, in una babele di ruoli incredibile.

Ma se sei utente ed hai davanti un operatore va così, ma se sei paziente ed hai davanti un medico forse si scopre alla malattia più grave di questo tempo: l’ignoranza presuntuosa.

Mi è capitato di andare al pronto soccorso, ho aspettato, non era piacevole ma era necessario. Ho con pazienza atteso il mio tempo, da bambino fu vittima di un grave incidente stradale, mi soccorsero i vigili del fuoco, giunsi in coma. Non ho aspettato neanche un secondo e sono vivo (non so se sia una fortuna per il mondo), e mi hanno salvato. Ho incontrato lì, medici, infermieri che hanno fatto il loro lavoro con sapienza che io, i miei genitori, non avevamo e non abbiamo. Mio padre andò dal medico dopo, per ringraziarlo, non era dovuto ma il medico non era operatore ma uomo davanti ad un altro uomo. Mi scuserete ma mi vergogno di questa società volgare.