Non rubatemi i ricordi, vi prego. E’ la settimana santa e, in mezzo, ci capita anche il giorno mio. E’ la settimana in cui mi perdo nei ricordi, mi dilanio con la mia memoria. Sono di quelli che Dio ha posto nel dubbio, ma il dubbio ha per necessità un credere su cui germogliare. E’ il paradosso dei credenti avere bisogno del dubbio, e dei dubbiosi che hanno necessità di credere. Perché c’è un giovedì dei sepolcri, di quel Cristo che domani sarà ucciso, un venerdì di passione verso la fine e poi si rinasce come i fiori. Andavo per sepolcri nelle tante chiese di Sezze, una più mesta dell’altra, per la diversità dei santi, la devozione minuta, la ricerca di una preghiera più giusta e ciascuno ha il suo tribolare, quasi bisogno di un differente altare, quasi bisogno di innervarsi in vicoli e curve per far stancare nel giro il dolore. Mano nella mano di donne antiche, matrone di mille incredibili sensazioni, la sera si faceva notte e le luci non erano di sole, ma di artifici e di lampade tremule. Avevo paura di tutto quel “nero”, dell’abbandono, dell’abbondante rumore che faceva il penitente alla vigilia del suo arrogante deicidio. Il cielo del mio paese quando è bello è bellissimo, allarga i vicoli che sono strette, le fa sembrare pronte a passi di gigante, ma ora ci passano donne piccole, uomini stanchi e stranieri brulicanti. Non lo so, ma mi viene da piangere qui, ogni volta che ci torno, e quei sepolcri che resteranno fermi per tre dì, poi torneranno a salvare, ma ora, ora e per ora la salvezza è bandita.
Il giovedì non si recita, il giovedì non c’è che abbandono, addobbi rigorosi e belli ma lui è solo, solo che ti senti in questo giro vorticoso dove vai a vedere “te solo”. Non capisci il venerdì e non gioisci della domenica se non fai questo giro impietoso tra chiese che hanno angoli d’abbandono, con dentro una salvezza che ora non si sa.
Ecco, un giorno fate questo giro del sepolcro di essere soli, come lui che di storia conobbe inizio e di speranza non c’è fine.