Non so se la mia città, Latina, è a delinquere, non amo gli elicotteri, mi sono sempre piaciuti i camion pieni di cose quando vengono, cariche di altro quando partono. Mi piacciono le cose per come le vedo perché l’inganno non lo contemplo. Non so se la mia città è a delinquere, certo è sola, di soli.
Certo la mia città non si piace nella puzza di umano, con il suo peccato, ma si immagina candida come il travertino, inquadrata come le sue strade e ogni umanità è bestemmia a quell’ordine.
Per questo si occupa di urbanistica, poco di storia, anzi qui la storia inizia e finisce con la fondazione, come se Roma fosse la lupa e non la storia tragica dei due fratelli, e la corsa degli Orazi contro i Curiazi un dettaglio, Cesare un appendice e in rinascimento una coglionella. La storia qui sono quelle sbiadite e ingenua foto di un secolo fa, ingiallite nella loro inutile staticità.
Una città è la sua gente tutta: inquisitori o eretici sempre romani. Qui gli elicotteri si confondono con i cavalieri vendicatori di una apocalisse riservata sempre agli altri, e nessuno impara mai e quindi tutto si ripete sempre.
Non so se la mia città è a delinquere, non sono guardia non sono ladro, sono cittadino che vorrei esser difeso dalle guardie nelle regole, punito se non le rispetto, ma libero di considerare ogni mio prossimo degno.
E non gioisco del male, mai. Sono con Abele, sono per punire Caino, ma non venite a dirmi che Caino è lontano, è dentro noi. Il popolo romano amava andare in piazza a guardare la ghigliottina lavorare, in molti affittavano le finestre per far godere il pubblico pagante della “pena”, e il pubblico pagante applaudiva la testa mozzata controllando che non fosse la sua. Siamo così, amiamo la tragedia altrui, condannandoci alla prossima.