E’ passato quasi un mese dal voto delle politiche, gli analisti, in tv o sui giornali, fanno a gara a dimostrare di aver capito quello che solo il 3 marzo non sapevano. Qui siamo tutti alchimisti capici di prevedere il passato. Certo la rivoluzione c’è stata, o meglio c’è stata una sollevazione che è differente da una rivoluzione. La rivoluzione si fa per mutare l’esistente e non per paura del domani. La rivoluzione è talvolta ingiusta, spesso sanguinaria ma è sempre coraggiosa, è sempre l’antidoto alla paura. Questa? Salvini e i suoi hanno timore del mercato, della globalizzazione, loro che sono partiti dall’Euro in una sola Padania, oggi non lo vogliono per tutta Italia. Loro che erano per il boom dei capannoni, ora cercano la pensione (abolizione delle Fornero): mio padre aveva anche ragione a dir che un laureato val più di un cantante che la pensione è davvero importante (per dirla con un Francesco Guccini avvelenato). I 5 stelle? non vogliono pagare dazio della crisi e pensano che si risolva tutto mandando manipoli di vincitori di lotteria in Parlamento, e possibilmente con la funicolare. L’alleanza tra due paure non produce una rivoluzione ma una restaurazione, non che il Pd sia fuori da queste paure anche lui ha presentato il conto alla deresponsabilizzazione con il rimando della ricerca dei colpevoli della crisi all’anagrafe con la “rottamazione”. Cambiare classe dirigente era incentivato come cambiare automobile. Una politica schiacciata sulla paura, ma senza andare a vedere di cosa è fatta la paura, senza conoscere i meccanismi del terrore ma cercando gli untori. Non si cerca di capire le ragioni delle peste, ma si uccidono gli appestati
Elezioni politiche, merito e bisogno, il patto della paura
Un patto, una dialettica senza analisi. Per mie ragioni recupero il confronto tra i socialisti nella conferenza di Rimini dell’82. Si parla, con orgoglio di cui mi beo, di radici del riformismo e poi si rilancia sulla insufficienza dell’analisi tradizionale della società in classi e si propone un patto tra chi vuole mutare l’esistente per bisogno e chi ha interesse per talento inespresso, per merito compresso dalle rendite. Un patto, l’idea di Claudio Martelli, tra merito e bisogno di interesse “rivoluzionario” per ardire e non per paura. Quell’analisi è distante dallo schiacciamento nel presente del dibattito politico di questi giorni.
Si discute su chi farà il presidente: Di Maio o Salvini, non perché fare il patto e per quale rivoluzione. La conservazione non ha bisogno di cambiamento ma di capo della resistenza, ecco stiamo cercando il capo della resistenza.
Maria Antonietta che taglia la testa a Robespierre, un patto di paura non una azione di progresso. In campo non ci sono i progressisti ma due medaglie della regressione.
Tutto legittimo certo, tutto nel diritto di un popolo sovrano. Ma manca la società che produce la ricchezza, manca la società a cui la ricchezza è negata, c’è un patto di borghesi piccoli piccoli per la pensione e il biglietto del bus.